Giganti d’acciaio

Come pensavo, le tavole di prova sono andate bene, per cui sto aspettando la sceneggiatura di un progetto della Cagliostro E-Press. 12 storie a fumetti di 12 pagine, di autori diversi. Distributo online, poi in vendita in volume.

Questa è una delle tavole di prova che ho mandato, ed è un tributo ad un autore a cui sono piuttosto affezionato, Gosaku Ota.

Mazinger Z

Vidi i disegni di Ota in edicola, editi dalla Fabbri e colorati velocemente da uno studio che fu poi il primo posto dove andai a lavorare in assoluto. A 20 anni, io e mia moglie coloravamo infatti le tavole del Corriere dei Piccoli. Era un lavoro molto manuale, di precisione e -tanto per cambiare- in lotta contro il tempo. Le chiamavono “temperette”.

Nei primi anni ’90 gli scanner non erano molto avanzati, almeno quelli che usavano in Rizzoli per il Corrierino. Per cui se scansionavano il colore insieme al nero, si macchiava parecchio. Quindi i colori erano separati dal nero. C’era un altro problema: stampato in rotocalco, ad alta velocità, il Corrierino aveva dei gran fuori registro, per cui se non c’era il colore sotto il nero, veniva fuori un filetto bianco intorno al tratto. Cosí i fumettisti facevano le loro tavole a fumetti in bianco e nero, venivano fotografate e ci passavano le pellicole (quindi in formato di stampa, mentre le tavole originali erano più grandi). Noi diligentemente mettevamo un foglio di acetato a contatto e lo coloravamo con degli acrilici mischiati a fiele di bue (d’estate veniva su un odorino…) e altri addittivii segreti preparati dalla signora Revelant, che ci insegnò i segreti della coloritura dei fumetti. Beh, le campiture erano quasi sempre piatte, il difficile era tenere i colori a contatto sotto il tratto nero, che in alcuni casi arrivava allo spessore di 0,1 mm. La Pimpa era una passeggiata, con quei bei tratti che faceva Altan, l’unica difficoltà era il naso sfumato di Armando.

pimpa

Comunque una volta finito il lavoro, i fogli di acetato con i nostri colori venivano scansionati per produrre le pellicole degli altri tre colori di stampa e con quelle incidevano le lastre. Colorare la Stefi fu una mia soddisfazione personale, perché mi piace Grazia Nidasio da quando avevo 5 anni, con Valentina Melaverde che leggeva mia sorella. Ma non me la diedero subito perché dovevo prima imparare ad acquarellare gli acrilici sull’acetato trasparente. Si può fare? Sì e lo facevamo usando il fiele di bue al posto dell’acqua. Non sono cose che insegnano a scuola e i segreti dello studio erano ben custoditi nel mondo pre-internet e pre-tutorials. A parte questo tipo di trattamento, il lavoro non erano molto diverso da quello fatto a casa dai coloristi dei rodovetri degli anime in Giappone.

Corrierino

Infatti andavo da casa nostra allo studio a Cinisello, prendevo le pellicole, me ne tornavo a casa e coloravamo tutto su lavagne luminose per essere precisi sul contatto dei colori. Avevo trovato quel mio primo lavoro dopo quasi un mese di tentativi: avevo tutti gli indirizzi degli studi e agenzie di pubblicità di Milano presi dalle Pagine Gialle del Lavoro (in quelle normali non c’erano) ottenute dal primo colloquio fatto. Una ragazza gentile in un’agenzia me le fece fotocopiare, visto che da loro non cercavano collaboratori. Chiamai sistematicamente tutti i numeri di telefono cercando di ottenere un colloquio. A Milano c’erano qualche centinaia di agenzie e studi grafici e ne visitai una quarantina:  uno o due appuntamenti al giorno. La signora Revelant al telefono fu colpita semplicemente dal fatto che dicevo di amare i fumetti, pur non sapendo di che cosa si occupasse lo studio. Accettò di visionare il mio portfolio e mi diede la prove, che superammo. voleva alleggerirsi per portare avanti dei suoi progetti di illustrazione e quella giovane e volonterosa coppia gli faceva comodo. I coloristi si  beccavano tutti i ritardi degli altri: sceneggiatori, disegnatori, fotolito, per cui facevamo il lavoro in tre, massimo quattro giorni e passavamo il giorno successivo alla consegna a dormire.

charlie-chaplin-tempi-moderni

Lo Studio Revelant colorava tutto il Corriere dei Piccoli, che era un settimanale. A dirla tutta, lo studio in quel periodo eravamo io, mia moglie, un’altra free-lance e la signora Revelant. Ma ci sono passati in parecchi, perché negli anni avrà colorato decine di migliaia di tavole di fumetti. Anche la prima edizione de il Gioco di Manara, che però non amava per l’argomento. Uno dei lavori più tirati via fu comunque proprio il Grande Mazinga della Fabbri. Certe cose se le inventavano di sana pianta, tipo le parti rosse sulla testa, non capendo bene come si agganciava il Brain Condor (non avevano mai visto una puntata), ma nessuno se la menava. Io quel fumetto lo scoprii col numero tre qui sotto, poi mi feci arrivare gli arretrati. Lo studio partiva bene col colorarlo, poi erano sempre più gran fondi monocolore, che mi facevano incazzare da bambino. Anche perché allora leggevo pure l’Uomo Ragno e, nonostante il retino di stampa alla Roy Lichtenstein e l’abuso del lilla scuro negli sfondi, i colori erano decisamente meglio. Conoscendo poi lo studio, capii che questo era sicuramente dovuto agli altrui ritardi accumulati: anche quello era un settimanale! Comunque anche se, soprattutto negli ultimi numeri, il colore era dato alla meno peggio, spesso copriva le magagne di un autore che pure lui non andava molto per il sottile. Credo che la corsa per la consegna accomunasse fumettisti e coloristi da una parte all’altra dell’oceano.

GRANDE-MAZINGA_003

Ho letto da qualche parte, che ogni fumettista quando disegna paga un debito per quello che ha ricevuto, con un atto d’amore nei confronti dei disegnatori che ha amato da bambino, riprendendone lo stile. Io non ho pregiudizi e mi piace sia il fumetto realistico occidentale che il manga orientale. Quando ho iniziato non c’era verso di citare Ota, perché lo stile manga se lo schifavano tutti. Pago solo adesso, in piccola parte, il mio debito nei confronti di questo maestro dal tratto un po’ scazzato.

La notte dei 100 bozzetti di Dragon Ball

DRAGONBALL Z Tutto era cominciato con una fiera, ero entrato in contatto con una azienda che stampava calendari spiralati in formato A3. Erano calendari di attori, cantanti, volevano farne anche sui cartoni animati giapponesi. Muovevo allora i primi passi nella grafica digitale, e decisi di applicare le regole dell’illustrazione nella composizione delle pagine dei calendari: sfondo elaborato, soggetto principale, immagine di impatto. Alcune erano decisamente Kitsch, ma tutte si staccavano dalla monotonia dei prodotti analoghi del periodo dove i grafici mettevano semplicemente una immagine tra quelle disponibili dall’agenzia di licensing, senza sapere niente del cartone. A me invece interessava che il ragazzo o la ragazza comprassero qualcosa pensato per loro. Indipendentemente che a me piacesse o meno quel cartone, doveva appagare la loro passione.  anime calendarsDal 1999 al 2010, se in Italia avete comprato un calendario a soggetto anime, intendo quelli legali, stampati pagando i diritti, al 90% avevano il mio design. I calendari funzionavano e quelli di Dragon Ball vendevano benissimo, così mi chiesero di studiare altri prodotti a tema. Siccome dal 1998 al 2005 ho fatto parecchi viaggi a Tokyo per lavoro, avevo informazioni e materiale di prima mano a disposizione con cui ispirarmi.

Illustration for Neo-Tokyo magazine

Illustration for Neo-Tokyo magazine

Stava esplodendo la mania delle trading-card. La prima volta che ero andato in Giappone era appena terminato il primo cartone animato di Yu-Gi-Oh e i negozi erano pieni di immagini di quel personaggio dai capelli assurdi, strani anche per un anime. Mi portai a casa un vasto campionario, in particolare attirarono la mia attenzione delle carte che venivano laminate, ovvero plastificate dentro due fogli di plastica trasparente, che le rendevano più resistenti. cards Proposi ad edibas di stampare questo tipo di carte, ma i costi e i tempi di plastificazione manuale erano insostenibili. Non so bene chi tra il fondatore e il consulente per la stampa, propose di stampare direttamente su PVC, simulando la carta all’interno con un passaggio di bianco coprente. Prima di allora, a stampare su PVC si ottenevano risultati penosi, a meno di non usare campiture completamente piatte. Ma c’erano nuove tecnologie di stampa che permettevano di avere un retino molto fitto su PVC trasparente di 0,3 mm. Facemmo diverse prove, finché Maurizio Rasca di RG&C affinò la tecnica e stampò la prima serie. Con la prima collezione dei Cavalieri dello Zodiaco erano nate le Lamincards. Inventai nome e logo, che regalai ad Adelmo Basso, il fondatore, che mi aveva dato tantissima fiducia per portare avanti le mie idee. Per il logo usai la font Lithos, scelta perché aveva un aspetto grecizzante, visto che parlavamo dei Cavalieri dello Zodiaco. Aveva però un corpo un po’ troppo sottile, per cui con la serie successiva, utilizzai il Lithos Black, e definii meglio il “biscotto” rosso sotto la scritta. lamincardsAll’inizio mi occupavo di queste produzioni part time, ma dopo qualche anno ricevetti la proposta di occuparmente a tempo pieno. E in uno di quegli anni ci fu la notte dei 100 bozzetti di Dragon Ball Z. DRAGONBALL2Avevamo prodotto 4 o 5 serie di Dragonball che erano in genere composte di 150 card ognuna. Metà erano immagini da Style Guide, l’altra metà erano presi dai frames del cartone, catturati direttamente dai Beta negli studi della Merak di Cologno. Lo stratagemma dei frame ci aveva permesso di fare più serie, ma nel 2007 non c’erano più illustrazioni disponibili: le avevamo usate tutte! Avevamo in preparazione una nuova serie di Lamincards “X-Metal” e chiedemmo direttamente alla Toei di disegnarcene di nuove. vegetaAlla Toei erano molto contenti del successo di queste card e cercarono di accontentarci, ma c’era un problema: erano completamente assorbiti dalla produzione del nuovo film delle Pretty Cure, e non avevano gente da metterci a disposizione. Commissionare delle illustrazioni che poi entrano a far parte di una StyleGuide è molto complesso. Servono parecchi visti e in più c’è la fase preliminare in cui si deve studiare quello che serve. Accettarono a patto che avremmo dovuto noi occuparci della parte preliminare, cioè dalla selezione dei personaggi ai bozzetti che sarebbero andati agli illustratori. DRAGONBALL3Non potevo crederci: avrei preparato dei bozzetti da mandare in Giappone per fare delle illustrazioni originali di Dragon Ball Z! Inoltre, dopo 5 anni di esclusiva, sarebbero state utilizzate su licenza in tutto il mondo. C’era però un piccolo problema: sempre per via del film, avevano una finestra temporale  ridottissima in cui metterci a disposizione degli illustratori, quindi avrebbero dovuto ricevere tutti i bozzetti entro 24 ore o non se ne sarebbe fatto niente. charlie-chaplin-tempi-moderni Non disegnavo abitualmente Dragon Ball. Proporzioni nuove, particolari da tenere presente… Certo, lo conoscevo bene  e quelle poche esperienze che avevo fatto disegnando cartoni animati, potevano essermi utili: gli animatori e gli intercalatori devono cercare di annullare il proprio stile per assimilare quello del Character Design, per evitare che i personaggi sembrino disegnati da tante persone diverse. Potevo riuscirci, ma il vero problema era fare tutti quei disegni tutti diversi in un tempo ridicolo. L’impresa non mi sembrava propriamente fattibile, ma bluffai. DRAGONBALL4Comprai due casse di Red Bull e studiai la strategia. Mentre ero ancora lucido, iniziai a preparare una lista di personaggi che ci mancavano, poi mi feci cercare e stampare dalla mia assistente, decine di immagini di riferimento che attaccai al muro di fronte a me. I bozzetti per fortuna non dovevano essere dettagliati, ma non dovevo fare errori con i personaggi. DRAGONBALL5Tirai giù posizioni su posizioni, molti disegni mi facevano schifo, e le scartavo ad una seconda visione. Alla fine credo di aver realizzato qualcosa come 200 bozzetti in 10 ore. I primi erano davvero definiti, poi divennero sempre più abbozzati via via che si avvicinava l’alba. Qualcuno mi era venuto molto bene, e fu rifatto piuttosto fedelmente, altri furono salvati dall’abilità degli illustratori giapponesi che li interpretarono e li migliorarono. In stato confusionale misi insieme i 100 migliori rough di Dragonball Z, li scansionai e li feci avere per tempo alla Toei. Penso non credessero che saremmo stati davvero in grado di fornirli. DRAGONBALL6Non tutte le illustrazioni furono realizzate per tempo; una ventina non furono proprio fatte, ma tra quelle che ci mandarono e alcune che avevano realizzato per il mercato statunitense, chiudemmo la collezione. Nel 2012 scadde l’esclusiva e l’anno successivo vidi alcune di quelle illustrazioni sugli zaini dei compagni di classe di mio figlio (che invece preferiva quello dei Pokémon). ZAINO-DRAGON-BALL-Z-500x500Mi tornò alla mente quella notte in lotta contro il tempo. Riflettei su quante storie ci fossero dietro a delle immagini di questo tipo, e agli animatori che in Giappone ricevettero i miei bozzetti, a cosa pensarono loro. Probabilmente sacramentarono per l’ennesimo lavoro extra che gli capitava mentre erano impegnati nella realizzazione di un film!

Character Design

Aspettando la sceneggiatura di Cagliostro, sto portando avanti il mio primo web comic. Volendo fare le cose per bene, sto procedendo prima con le matite. Solo quando avrò terminato il primo gruppo le inchiostrerò.

work in progressMi sono accorto però di aver dimenticato una cosa fondamentale: lo studio dei personaggi, o Character design. Che è una cosa che ho fatto parecchio quando ho iniziato a disegnare fumetti e da un certo momento in poi ho sempre cercato di evitare.

Studio per il personaggio Philip Morris, per la serie autoprodotta "Mistery"

Studio per il personaggio Philip Morris, per la serie autoprodotta “Mistery”

Perché? Per due motivi: primo non vedevo l’ora di disegnare i personaggi nelle vignette, Scrivendomi spesso le storie, i miei personaggi hanno avevano bisogno di un po’ di scene prima di trovare la loro fisionomia. Accade in quasi tutti i fumetti e manga, basta guardare nelle serie un po’ lunghe come il personaggio come viene disegnato all’inizio e dopo diversi numeri. L’altro motivo è che per la maggior parte degli editori con cui ho lavorato non era necessario, visto che si trattava di storie autoconclusive. Questi eventuali studi non erano pagati e portavano via tempo alla realizzazione delle tavole. Dovendo campare con il mio lavoro, tendevo ad evitarli, a sottovalutarne l’utilità e a vederli come qualcosa di fastidioso.

Fumetto disegnato per la casa editrice Fenix negli anni '90.

Fumetto disegnato per la casa editrice Fenix negli anni ’90.

Il mio era un approccio sbagliato, perché il chardes è molto importante. Guardando alcuni dei fumetti disegnati da me che odio di più, mi accorgo che i personaggi cambiano di fisionomia da una vignetta all’altra. Disegnando molte tavole in poco tempo, senza un chardes ben strutturato a cui far riferimento, si tende a dimenticare quali sono gli elementi da tenere presente nelle diverse viste e posizioni. Inoltre gli studi permettono di capire meglio come disegnare un personaggio, se un naso funzione, va fatto più piccolo, più grande o semplicemente diverso.

Caius

Primi studi del personaggio Caius Camillus, per Immergas

Lo studio qui sopra, insieme ai successivi, non servì a molto, visto che poi il personaggio l’ho disegnato in modo molto diverso, ma comunque contribuì a farmi vincere una gara. Insomma, prima di andare avanti con le matite, mi fermo a pensare i personaggi, come sono fatti, come si vedono nelle varie viste, proprio come si fa nei cartoni animati. Comincio qui sotto con la strega Doralice che ha ben due aspetti. Questo è quello più mite, che usa per mimetizzarsi e per ingannare i suoi persecutori.

Doralice

Devi disegnare per bene gli ambienti!

Nel 1979 a Milano ci fu una delle più belle fiere di Fumetto a cui abbia mai partecipato. Sarà perché era la prima, sarà perché ero un bambino, sarà perché incontrai per la prima volta un autore di fumetti. QuotidianoDeiFumettiIl nome della fiera era GULP MI 79, il logo come una targa di auto, con una font tipo American Typewriter bold. Si svolgeva all’Arengario, in piazza Duomo. Ogni giorno della fiera veniva distribuito in edicola solo a Milano il “Quotidiano del Fumetto”, della Editiemme, formato tabloid, con informazioni e saggi sui fumetti e articoli sulla mostra. 10 numeri, il numero zero solo in Fiera. Marketing in anticipo di trent’anni. Conservai quei quotidiani davvero unici per molti anni poi li persi in un trasloco, insieme ad altre cose preziose. Mai che perda della fuffa, eh!

Carlo Peroni

Carlo Peroni in una foto dell’epoca e nella sua autocaricatura

Non mi persi però l’incontro con Carlo Peroni alias Perogatt, che è stato per me il più grande autore italiano di fumetti per ragazzi. Una produzione immensa, di altissima qualità. Grande umorista. Disegnava, tra gli altri “Gianconiglio”, una star del fumetto degli anni ’70. Tutti i bambini volevano visitare “Belpelo di sopra”, un luogo che già dal nome ti faceva ridere. Ah, per chi non lo sapesse, ha anche inventato e animato Calimero. 1963, Lo stesso anno in cui animarono Astro Boy (Tetsuwan Atom)

Con l’innocenza tipica dell’infanzia, gli feci vedere le strisce di un personaggio comico di mia invenzione che avevo portato proprio per ricevere qualche parere. Invece di liquidarmi con qualche frase di circostanza, guardò seriamente e con attenzione tutti i miei sgorbi e mi disse: devi disegnare per bene gli ambienti! Un consiglio prezioso. palazzo Credo che per la maggior parte dei fumettisti, fare gli ambienti per bene sia una menata pazzesca. Per me sicuramente lo è. Ammettilo: a meno che tu non sia un appassionato di architettura o di paesaggi, quando disegni fumetti, non vuoi far altro che disegnare i personaggi perché pensi che è lì la chiave del tuo fumetto.  E a ragione: in una vignetta come quella qui sotto, nessuno pensa che sia il palazzo a parlare: tutti pensano a chi sta parlando all’interno. E il personaggio manco si vede! grattacieloLa rete è piena di tutorial e le fumetterie di libri che insegnano a fare gli sfondi, ci sono pure dei software 3D fatti apposta per i fumetti! Non ho la presunzione di volervi insegnare niente ma, se vi piace disegnare fumetti, voglio darvi qualche consiglio che può semplificarvi la vita. Mario Cubbino, Il mio professore di fumetto alla scuola del Castello Sforzesco ci spiegò diversi stratagemmi. Con qualche riga di spessore diverso, un colpo di pennello, un mezzotono, una lunetta o un’ombra al posto giusto, spesso si risolve egregiamente la vignetta. ambiente-veloceNella mia vita professionale ho spesso abusato di questo metodo, e me ne dolgo. Penso che sia comunque meglio una scappatoia di questo tipo che un background fatto male. Non bisogna rifuggire gli ambienti, ma non sta scritto da nessuna parte che bisogna riempire di dettagli ogni sfondo. Negli ambienti esterni naturali, la prospettiva è meglio farla ad occhio perché la natura è complessa, irregolare. Va bene anche per gli edifici semplici, di pietra o legno, dove il materiale è grezzo, irregolare. Vince su tutto la luce atmosferica: le zone più chiare sono percepite come più lontane. Nella vegetazione, invece le foglie più chiare indicano le zone più in alto, perché si ha l’idea che la luce illumini sempre le piante dall’alto. Il chiaroscuro è insomma più importante delle forme in vere e proprie. ambiente esternoSe si deve invece mostrare un luogo preciso, si possono anche ricalcare delle foto, come fanno in molti manga. Questo metodo va bene se appare una volta sola, ma se bisogna riprendere nel corso della tavola più volte lo stesso luogo da più angolazioni, meglio ridurre il numero dei particolari e disegnare tutto tu, sempre tenendo delle foto come riferimento. svizzeraBene, ma tutto questo non è molto diverso dalla paesaggistica; con le scene in azione, la fantascenza, gli ambienti cittadini, le cose si complicano ancora. Ci sono mille modi per disegnare gli ambienti urbani, ti spiego il mio: prima butto giù un bozzetto per le masse generali, poi mi armo di pazienza, riga e squadra, prendo un A3 e metto in prospettiva tutti i volumi principali, senza badare a quante linee ci metto. Le parti più piccole le faccio ad occhio. tavola1Quando l’ambiente è definito, ricalco solo le linee che mi servono su un foglio più pesante tipo l’F6 (non trovo più gli Schoeller!). Non è un lavoro molto diverso dalle tavole di architettura che facevo al liceo artistico, in più si può barare con le linee di fuga e le proporzioni per avere un risultato migliore. Infine inchiostro il tutto. Le linee esterne e quelle più in avanti le faccio più spesse. tavola2I retini sono molto utili per definire le mezzetinte e aumentare la tridimensionalità, se se ne abusa però, tutto sembrerà finto. Personalmente cerco di non usare più di tre toni. Mi piace tantissimo come usa i retini Massimo dall’Oglio, che spesso usa un tono solo, scavando i bianchi. Guardatelo perché merita. Infine metto eventuali inee cinetiche, balloon e onomatopee. robotConcludo con una cosa importante da tenere presente: Pensate a come vengono chiamati gli ambienti nel fumetto: Sfondi.Se si chiamano così vuol dire che non sono i protagonisti, e che stanno appunto sullo sfondo. Gli ambienti non devono quindi incasinare la lettura e devono avere sempre meno peso del soggetto della vignetta, per non distogliere il lettore dalle cose narrativamente importanti. reggiseno

Il sigillo di smeraldo

storyboardNel post precedente, raccontavo di come mi trovai a inventare dei piccoli draghi in PVC, per una collezione da edicola. Per il nome avevo pensato a Dragonics, ma puzzava di robotico, sapeva un po’ di fantascienza. Qualcuno propose di cambiarlo in Dragonix che era più semplice e più adatto al nostro target infantile. Funzionava. dragonix1La prima serie andò bene, e mi misi subito all’opera sulla seconda. Mentre disegnavo i bozzetti dei 3D, preparai uno scenario completo e caratterizzai ogni personaggio della nuova serie immaginandone una storia personale e una precisa personalità.

Primo bozzetto del drago Majestos

Primo bozzetto del drago Majestos

Avevo anche questa idea di una montagna sospesa sopra le nuvole, da cui erano arrivati tutti i draghi. coinvolsi Giustina Porcelli, che aveva sceneggiato i Gormiti, e preparammo insieme un bellissimo concept, con le varie tribù che vivevano all’interno, in lotta tra loro e che ogni tanto scorazzavano sulla terra. Dei draghi senzienti, che parlavano. Non facendo vedere mai gli esseri umani, ognuno poteva immaginare che vivessero nel periodo preferito, nel medioevo, nella preistoria o, perché no, ai giorni nostri.

Illustrazione di Danilo Antoniucci

Illustrazione di Danilo Antoniucci

Da questo venne fuori una idea molto, molto forte. Fare un cartone animato su questi draghi. Si creò un link con Luca de Crescenzo e con Andrea Baricordi, che avevo incrociato senza conoscerlo molti anni prima, quando faceva il fanzinaro e veniva a Milano allo Studio Sette a noleggiare i manga con gli altri Kappa boys. Preparai in poco tempo il soggetto di “Dragonix, il Sigillo di Smeraldo”. Andrea scrisse la sceneggiatura, Luca diresse il cartone che fu prodotto da Stranemani.

Settei

primo bozzetto mio e character design di Stranemani Srl

Con gli ampi margini di libertà a nostra disposizione io e Andrea ci mettemmo a trollare e mettere citazioni. C’è una scena in cui Luminares, che è un saggio, vecchio drago scheletrico, viene circondato dai suoi avversari, comandati dal drago Majestos. Comunicai ad Andrea che mi sarebbe piaciuto ricreare un certo tipo di atmosfera, provata guardando i cartoni di Go Nagai nei cinema estivi del mare. Andrea, che da bambino visse la mia stessa esperienza,  aveva già in mente la scena più intensa del film Mazinga contro gli ufo robot (Mazinger Z vs Generale Nero). Fu un bel momento.

Il sigillo di Smeraldo era un breve cartone animato per promuovere un collezionabile da edicola, niente di pretenzioso, ma piaceva a tutti i bambini che lo guardavano. Fu prodotto un DVD distribuito in edicola insieme al collector delle card e un albo. Fece anche un passaggio su Italia 1. Poteva essere l’inizio di qualcosa. dragonix3-2 Con la seconda serie di Dragonix si cambiò, non so per quale motivo, produttore dei 3D. Dalla Cina arrivarono dei draghi un po’ striminziti. Le prime sculture erano tuttavia molto belle, ma per stare nel target price, durante la produzione ridussero sensibilmente le dimensioni. Non fu certo quello il solo motivo, ma comunque la serie non funzionò come la prima e si congelò il progetto della terza serie, che doveva avere un nuovo cartone con il seguito e la conclusione de “Il Sigillo di Smeraldo”.dragonix3Il cartone si doveva chiamare  “La porta degli Inferi” e avevo già pronto il soggetto da passare ad Andrea. Peccato. Ho messo tra queste righe dei bozzetti dei nuovi draghi e creature fantastiche che avervo pensato per quella serie, molto diversa dalle uova di drago poi prodotte lo scorso ottobre, con cui non ho nessuna relazione. Credo che possano interessare agli appassionati dei piccoli 3D, come ne ho conosciuti nella community Potere ai piccoli. Dragonix3-3

Noi abbiamo… I draghi!

Drago cinese Questo qui sopra è un drago cinese che disegnai per un’infografica del Corriere della Sera. Questo qui sotto è invece l’ultimo che ho disegnato, un paio di ore fa. Bozzetto drago Al di là dei cartoni di Grisù, ho incominciato ad interessarmi ai draghi quando avevo 18 o 19 anni. Un amico mi tirò dentro un gioco di società piuttosto strano per me. Era in una scatola rossa della Editrice Giochi e girava in Italia da un paio di anni. Ci trovavamo la sera, nell’ufficio del papà di Paolo in Piazzale Baracca. Usavamo una piccola fotocopiatrice olivetti per copiare le schede. Un lusso. E poi c’erano queste miniature da colorare della Grenadier che mi piacevano parecchio, anche se i personaggi umani a volte avevano delle proporzioni un po’ strane. Gli orchi sui lupi erano fantastici! grenadierA 14 anni mi avevano regalato un libro sul modellismo; avevo montato e colorato qualche kit di aerei della seconda guerra mondiale, acquisendo una certa dimestichezza con gli smalti opachi. Così, visto che queste miniature le coloravo piuttosto bene, un frequentatore occasionale delle nostre serate mi suggerì che potevo vendere quel servizio di coloritura. Lo feci per qualche giocatore, poi pensai di monetizzare meglio. grenadier2Passai agli acrilici che asciugavano prima e non puzzavano e offrii il servizio ad un negozio del centro di Milano, in via Meravigli: La Città del Sole, un negozio che aveva una certa storia. Gli affari non andavano male, i miei orchi a cavallo di grossi lupi si vendevano come il pane. Il pezzo forte erano i draghi che però costavano un botto, infatti ne feci solo due o tre. Prima di consegnarli, li copiavo a matita, da più viste perché li trovavo davvero belli. Dragon LordsQuasi vent’anni dopo lavoravo per Edibas. Maurizio Basso a Lucca mi presentò Ciruelo Cabral, che è un illustratore fantastico. Maurizio voleva realizzare una collezione di Lamincards dei Draghi con le sue illustrazioni, che erano disponibili per l’Italia. Edibas aveva intanto iniziato a entrare nel mondo dei 3D collezionabili da edicola con un mix di Lamincards e 3D nella stessa bustina. Avevamo prodotto una collezione con i Power Rangers Mystic Force, disegnati per noi dal bravissimo Dario Calabria. Visto che funzionavano, Massimo Pellegrino, il general manager, pensò di replicare l’esperienza sui draghi. Lamincards + 3D. Dai focus test venne purtroppo fuori che Ciruelo non piaceva ai bambini: troppo realistico e dettagliato, perfetto dai teen-ager in su. A malincuore rinunciammo alla collaborazione con il maestro. Così, mentre cercavamo un illustratore con lo stile adatto, iniziai a disegnare le viste dei draghi per far realizzare i 3D in PVC, inserendo anche altri animali fantastici nella collezione. E qui ritornarono utili le esperienze fatte da ragazzo sulle miniature della Grenadier. dragorossoDi Dragonix, scriverò altro giorno. Il fatto è che i Draghi li ho trovati parecchie volte nella mia vita professionale, sotto forma di miniature, cartoni animati, card o… trottole! Per non parlare del drago Shenron, che mi ha accompagnato per tutto un periodo della mia vita particolarmente intenso. Ma questa è un’altra storia.shenron

Je suis Charlie

Strage alla redazione di Charlie Hebdo

Strage alla redazione di Charlie Hebdo

Siccome non tutti hanno letto Watchmen, vorrei dire due cose su questo disegno. Il riferimento è a un personaggio di quel fumetto, chiamato il comico. (Attenzione agli spoiler). Il comico è un supereroe che fa durante la sua vita cose discutibili. Un’altra cosa che fa nel fumetto è dire cose scomode, che gli altri tendono a nascondere. Il suo simbolo è lo smiley e il fumetto ha come copertina il suo simbolo macchiato in questo modo, rinvenuto dopo che è stato ucciso. Non viene mai perseguitato per le cose che ha fatto, ma viene ucciso perché è il testimone di qualcosa, in pratica per tappare una voce fastidiosa.

Pencil

Se le cose vanno come penso, settimana prossima mi arriverà una sceneggiatura del genere che preferisco, la fantascienza. Fa parte del progetto che ha risvegliato il mio interesse per i fumetti. Nel caso, non potrei  però pubblicare qui le tavole di quella storia. Luciano CostarelliHo un mio progetto personale a cui tengo molto, che disegnerò dopo questa storia di SF, e che voglio mettere qui, in una sezione specifica. Sarà molto impegnativo perché ha un’ambientazione urbana molto precisa e devo documentarmi parecchio. Pistole, moto, automobili, edifici specifici, vestiti. Sarà un discreto sbattimento.

Beretta

Nel frattempo, comunque, qualcosa qui la voglio mettere. Una dozzina di anni fa avevo scritto una storia con delle potenzialità, però la rivista che la conteneva chiuse dopo soli due numeri. Un record, visto che normalmente le riviste che non funzionavano chiudevano al terzo. A dirla tutta il fumetto era disegnato abbastanza male. Si trattava di un Fantasy, genere per cui nutro sentimenti molto controversi.

argentoI personaggi ci sarebbero, anche se vanno limati un po’; il soggetto regge, i dialoghi sono da rivedere per differenziare maggiormente i personaggi. Mi sembra giusto concedergli una seconda occasione. Sto studiando gli stacchi giusti per delle pubblicazioni settimanali. Si comincia dalle matite.

pencil

G-Pen

returnLo faccio da quando avevo quattro anni. Giuro. Riempivo i balloon con simboli casuali perché non sapevo ancora scrivere, ma mettevo le immagini in sequenza. Disegnavo fumetti su decine di quaderni che assorbivano via via tutto l’immaginario collettivo degli anni ’70 e ’80. Disney e Marvel, Go Nagai e tutti gli anime. Tutti. Mi diverivo un mondo. Quando ho sostituito le righe e i quadretti con il Fabriano F4 sono Arrivati Moebius e Hugo Pratt, Pazienza e Alex Raymond. Dylan Dog e infine, prepotentemente, i Manga.

passato

Per un po’ l’ho anche fatto come professione. Il momento era buono, di lavoro ce n’era: nei primi anni ’90 pubblicavano cani e porci. Solo che me ne ero andato di casa quando avevo vent’anni e dovevo mantenermi. In pubblicità prendevo più del doppio che in editoria mettendoci un terzo del tempo. Disegni “freschi” a pantone, di getto, tirati via, storyboards, layouts, tutto usa e getta, niente rimaneva stampato. Affitto e bollette pagate. Per farla in breve, scelsi la via più facile.

2-pantoni

Comunque continuavo a scrivere e disegnare storie, pubblicavo anche qualcosa con editori… hemm…diciamo minori. Ma, influenzato dallo stile frenetico dell’advertising, cercavo di metterci meno tempo possibile. Ovviamente i miei disegni facevano sempre più cagare. Poi, a furia di premere sull’accelleratore, mi schiantai contro un muro.

Un lavoro interessante, pagato bene. Una piccola casa editrice, una sceneggiatura che non ho mai capito veramente. Un progetto di qualche anno prima, che diventava a colori. 84 pagine a colori. Tra casini vari, mi trovai con poco più di un mese per fare tutto. E avevo contemporaneamente un altro lavoro da 40-48 ore a settimana.

charlie-chaplin-tempi-moderni

Con l’accumulo dei ritardi, dopo una ventina di pagine, vedendo la catastrofe incombere, cominciai a farmi aiutare da un po’ di gente. Una di loro è diventata molto brava, adesso pubblica per Panini. Infatti la sua tavola è una di quelle belle dell’albo. Comunque prima smisi di colorare i personaggi, poi delegai ad altri anche gli sfondi. Non dormivo praticamente più. Vedevo l’alba tra matite e monitor, il mug pieno di caffé freddo e le lattine vuote di Red Bull. Supervisione inesistente, tempo per correggere: zero.

Se guardi i tuoi disegni dopo qualche giorno o anche solo dopo qualche ora, ti rendi conto di tutti gli errori. In quel caso li vidi tutti sull’albo stampato. Erano tanti, veramente tanti. E non ci potevo fare più niente.

smettere

A parte qualcosina per degli amici, smisi completamente di disegnare fumetti, amareggiato dalle critiche, soprattutto da quelle che condividevo.

Sono passati 8 anni da allora poi, di colpo, poco fa ho ricominciato. Ci ho messo vent’anni per capire la differenza che c’è tra metterci tre giorni per fare una tavola e fare tre tavole al giorno. Ora voglio solo fare qualcosa che piaccia alla gente e che piaccia a me. Tornare a disegnare per divertirmi, come tanto tempo fa.

Questa volta non sceglierò la via più facile. Ho anche imparato ad usare il famigerato pennino G-Pen…

macchione